GIACOMO MATTEOTTI

Il delitto e i processi

Nel 1924, il gruppo fascista “Ceka” rapì e assassinò il leader socialista Matteotti su ordine di alti funzionari del regime. Dopo un processo iniziale con lievi condanne, nel 1944 Mussolini fu riconosciuto mandante dell’omicidio.

Cartolina commemorativa

Il gruppo

È composto da Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Non accertate le responsabilità di Filippo Panzeri e Aldo Putato, quasi certamente presenti sul luogo del sequestro; del gruppo fa parte con funzioni di basista anche l’austriaco Otto Thierschald.

Questi uomini costituiscono la cosiddetta Ceka, un corpo speciale agli ordini del vertice fascista e diretto contro avversari che si dimostrino particolarmente ostili. È già stato utilizzato per le azioni nei confronti di alcuni fascisti dissidenti e di deputati liberali e repubblicani.

A organizzare e far funzionare la Ceka sono il capo ufficio stampa della Presidenza del consiglio Cesare Rossi e il segretario amministrativo del Partito nazionale fascista Giovanni Marinelli. L’attività della Ceka, tuttavia, non può avere luogo senza l’ausilio di uomini di vertice, quali il capo della polizia Emilio De Bono, il quale fornisce documenti falsi, garantendo coperture e impunità.

L’arresto e le indagini

L’ arresto degli uomini della Ceka, determinato da una serie di testimonianze, suscita un’ondata di stupore e di sdegno in tutto il Paese, tanto da mettere in crisi il governo fascista: vengono organizzati cortei e dimostrazioni di protesta; i giornali escono con ripetute edizioni straordinarie che vanno rapidamente a ruba.

Mussolini, per allentare la crescente pressione, impone a Rossi, Marinelli, De Bono di dimettersi dalle cariche ricoperte; Aldo Finzi, chiacchierato anche per il suo coinvolgimento nella questione delle case da gioco, viene sostituito come sottosegretario del ministero degli Interni.

L’istruttoria per il rapimento e l’assassinio è avocata dalla Procura Generale di Roma che l’affida al presidente della Sezione d’Accusa, Mauro Del Giudice, al quale viene affiancato il sostituto procuratore Guglielmo Tancredi.

Le indagini subiscono un’ulteriore accelerazione dopo il ritrovamento della giacca di Matteotti, avvenuto il 13 agosto 1924 e che precede di pochi giorni quello del cadavere, rinvenuto nella macchia della Quartarella, una fitta boscaglia a poche centinaia di metri dalla via Flaminia.

Le perizie necroscopiche permettono di accertare che la morte del deputato è avvenuta nella stessa auto del rapimento e, quasi certamente, provocata da un colpo di coltello inferto nella zona del cuore.

Le cause dell’aggressione

Nel discorso del 30 maggio 1924, con il quale Matteotti contesta in tronco la validità delle elezioni del 6 aprile precedente e della maggioranza che ne è scaturita, molti studiosi vedono la causa dell’aggressione fascista che lo conduce a morte.

Matteotti denuncia le bastonature ai candidati avversari, i seggi elettorali composti di soli fascisti, i rappresentanti di lista impediti di entrare nei seggi stessi. Dimostra, inoltre, come in sei circoscrizioni elettorali su quindici le firme da apporre davanti ai notai siano avvenute senza alcun controllo legale.

La causale dell’omicidio alla luce del solo movente politico lascia comunque insoluti alcuni interrogativi: primo fra tutti l’attenzione per i documenti – mai più ritrovati – che Matteotti porta con sé al momento dell’aggressione.

Mussolini e i suoi collaboratori sanno che il deputato socialista, dopo il discorso del 30 maggio, interverrà nuovamente sul bilancio dello Stato e che si tratterà di un discorso fortemente critico contro le incapacità e le manipolazioni del governo.

Il caso OIL Sinclair

Altrettanto probabile che Mussolini tema un attacco sulla vicenda legata alla stipulazione della convenzione con la Sinclair Oil, una società petrolifera americana che, nel maggio 1924, mette le mani su oltre 100 mila ettari di terreni italiani.

Nel corso della trattativa viene accertato come la compagnia mantenga vere e proprie cointeressenze con altre società e che negli Stati Uniti abbia corrotto funzionari del governo: è lo scandalo di Teapot Dome.

Matteotti è interessato alla questione, tanto da scrivere un lungo articolo (“Machiavelli, Mussolini e il fascismo”) che la rivista britannica “English Life” pubblica solamente a luglio, dopo il suo assassinio.

Nell’articolo egli si dichiara certo che la convenzione tra il governo italiano e la Sinclair nasconda pratiche di corruttela a favore di alcuni alti funzionari fascisti e che queste servano al fascismo per finanziare i propri giornali.

Il verdetto del processo

Gli atti tornano quindi alla magistratura ordinaria, anche se nel frattempo il presidente Del Giudice è stato rimpiazzato e Tancredi sostituito da Nicodemo Del Vasto, cognato del segretario politico del Pnf Roberto Farinacci. Il 9 ottobre 1925 il procuratore generale della Sezione d’Accusa chiede il rinvio a giudizio per Dumini, Volpi, Viola, Poveromo, Malacria con l’accusa di omicidio aggravato.

Per motivi di ordine pubblico il governo ritiene opportuno far celebrare il processo nell’appartata cittadina abruzzese di Chieti. Il 18 gennaio 1926, tuttavia, la parte civile, cioè la famiglia Matteotti, attraverso i suoi avvocati, comunica il suo ritiro dal procedimento giudiziario. La presenza di Farinacci quale avvocato di Dumini ha un unico e inequivocabile significato: il fascismo si candida direttamente a difesa degli assassini.

La corte considera il delitto Matteotti come preterintenzionale, ammettendo persino la concausa della debole costituzione fisica della vittima; del tutto escluso il movente affaristico. Dumini, Poveromo e Volpi vengono condannati a 5 anni, 11 mesi e 20 giorni. Con l’applicazione dell’amnistia, entrata in vigore il 31 luglio 1925, Malacria e Viola sono liberi, gli altri rimangono in carcere ancora due mesi.

Il processo: 20 anni dopo

Il 27 luglio 1944, il decreto luogotenenziale n.159 riapre il processo Matteotti dal momento in cui considera inesistenti le sentenze della Sezione d’Accusa di Roma del 1 dicembre 1925 e quella di Chieti del 24 marzo 1926. Gli imputati dell’esecuzione materiale di Matteotti sopravvissuti e presenti sono solo Dumini e Poveromo; Viola e Malacria (deceduto nel marzo 1934) risultano latitanti.

A Mussolini viene imputata la correità nel sequestro e nell’omicidio aggravato e qualificato di Matteotti, cui si aggiungono la costituzione della Ceka e le numerose spedizioni punitive compiute dal gruppo omicida, di cui viene riconosciuto come mandante.

Cesare Rossi se la cava con l’amnistia. Dumini, Viola, Poveromo sono condannati all’ergastolo, con pena commutata in trent’anni di reclusione. Poveromo muore in carcere a Parma nel 1952; Dumini ottiene la grazia e viene definitivamente liberato il 23 marzo 1956.

Valentino Zaghi